Note: L’essere umano fin dai suoi primi vagiti è l’incarnazione vivente di una questione che si ripete assillante: Che cosa vuole l’Altro? Tale questione è indirizzata verso il luogo (che finora nella nostra civiltà è stato occupato generalmente da una madre) dal quale comincia a prendere consistenza la funzione dell’Altro, da intendersi come alterità primigenia. Quindi si può affermare che l’essere umano non è altro, nel suo stesso essere, che il porsi reiterato della predetta questione indirizzata all’alterità. E qui dovremmo correggerci perché, propriamente parlando, è da questo luogo dell’Altro che l’essere vivente – Je – pone siffatta questione. Uno dei modi più tipici in cui la troviamo declinata è la formula: io ti domando che cosa sono per te. Il vantaggio di questa formulazione è di farci intendere che questa domanda nella sua essenza ultima è una domanda di segni d’amore. Una volta ottenuti questi, o anche solo fortuitamente captati, seguirà l’identificazione dell’essere umano a questi stessi segni quali altrettanti tratti dell’Ideale dell’Io. L’Ideale dell’Io è il punto da dove il soggetto si vedrà amato e amabile. Ma questo risultato è insoddisfacente. Nulla potrà arrestare il porsi insistente e indefinito di questa domanda a partire dalla sequenza dei significanti che si dispiegano nel campo dell’Altro. Ciò accade perché è mancante nell’ordine simbolico il Significante del desiderio dell’Altro, il significante fallico, il solo significante capace (se ci fosse) di significare se stesso e che viceversa con la sua mancanza dà la ragion d’essere a tutti gli altri significanti, così come analogamente con la sua presenza determinerebbe l’abolizione di tutti quanti gli altri significanti. Questo significante del desiderio dell’Altro dunque, la cui rimozione è dunque qualcosa di irriducibile, lascia senza risposta ultima la questione sul desiderio dell’Altro, che in questo modo è un Altro colpito dalla barra della castrazione simbolica. Tale questione è simbolizzabile nel simbolo S(A / ). |