Note: La filosofia del «fine che giustifica i mezzi» ha profondamente inciso sull’etica degli individui del terzo millennio col risultato che tutti i gruppi ribelli o autodefinitisi «rivoluzionari», nati dalle ceneri del ‘68, si sono autodistrutti perseguendo una politica che nulla aveva di etico, di coerente con gli ideali dichiarati, ma che si piegava appunto al «fine che giustifica i mezzi». Il fine può essere dato volta a volta dal reclutamento di militanti, la raccolta dei soldi, la vittoria alle elezioni, la difesa del proprio ruolo di capi o capetti. E le svolte politiche o il pressapochismo teorico servono a realizzare questa politica immorale del «fine che giustifica i mezzi». Anche il rifiuto della polemica seria e costruttiva ne è una manifestazione comune. Non si lotta e non si costruisce nulla di realmente rivoluzionario e dirompente se non si assumono questi valori come essenziali strumenti della prassi quotidiana, in quanto individui e in quanto collettività organizzate e operanti. E tutto ciò non basta asserirlo: lo si deve articolare nella produzione teorica e praticare in concreto, anche tra compagni, tra organizzazioni, sindacati o associazioni libertarie… (dall’introduzione di Antonella Marazzi) |