Note: La mia piccola roccia, Anvil Scolz, ha iniziato ad esistere da molto prima che me ne accorgessi.
Si è intrufolata nei miei panni, ha pianto le mie lacrime, ha urlato con me incazzata nera dentro quel microfono, lavando via ogni dolore e festeggiando in maniera sguaiata ed imprudente ogni vittoria. Ha ascoltato ogni genere di musica con le mie orecchie, e guardato il mondo attraverso i miei occhi.
Fino a che non è riuscita ad emergere, facendosi strada dentro la mia pelle, per farsi raccontare e farmi scrivere la sua storia.
In “Good Luck” si narrano le sue vicende, la sua vita di ogni giorno. Una comune esistenza da adolescente nelle quattro mura claustrofobiche della sua quotidianità, che prova a tarparle le ali mentre si sforza di spiccare il volo tra le nuvole dei suoi sogni.
Anvil si trova in ognuno di noi dopotutto.
Tutti noi abbiamo avuto dei sogni nel cassetto in netto contrasto con la realtà. Molti di noi si sono trascinati tra i banchi di scuola con la musica a cannone nelle orecchie fuggendo dentro una vita immaginaria di gran lunga migliore.
Ma cos’era Anvil, prima di “Good Luck”? |