Lo studioso residente in Lombardia ha dato alle stampe una seconda monografia sul suo paese natio, che rispetto alla precedente di trent’anni fa va oltre l’indagine storica tradizionale per soffermarsi, invece, sui contesti e le dinamiche sociali
Tra i più rilevanti eventi culturali svoltisi nella Valle dell’Alcantara nel corso delle recenti settimane estive si annovera la presentazione del volume “Graniti, un passato da ricordare”, dato alle stampe da Salvatore Calabrò per i tipi della “Ripamonti”. Ed ancora una volta ci si è ritrovati al cospetto di un benemerito figlio della Valle trapiantato da diversi decenni in tutt’altra parte d’Italia che pur tuttavia, a differenza di chi continua a risiedere stabilmente in terra di Sicilia, avverte l’esigenza di studiare e valorizzare il paese natio (proprio in questo sito ci occupiamo anche del malvagnese Antonino Portaro il quale, pur lavorando a Roma, si prodiga per far assurgere a meta turistica la caratteristica Cuba bizantina presente nel piccolo centro alcantariano).
Calabrò, nella fattispecie, è nato a Graniti sessantuno anni fa, e dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’ateneo palermitano è stato assunto dall’Amministrazione Finanziaria dello Stato come funzionario direttivo; dal 1994 esercita la libera professione di avvocato tributarista presso il Foro di Lecco.
Per quanto concerne il suo impegno editoriale, ha all’attivo una monografia su Osnago, il centro della Lombardia in cui risiede, ma anche un primo scritto sulla sua Graniti, pubblicato nel 1979. Quest’ultimo(“Graniti, storia di un paese siciliano”) rappresenta il “vademecum” di base per chi volesse accostarsi alla conoscenza delle vicende storiche, delle caratteristiche ambientali e delle risorse artistiche e culturali del piccolo centro alcantariano; la nuova pubblicazione presentata nei giorni scorsi, invece, va oltre il metodo tradizionale di indagine storica in quanto è incentrata sugli aspetti più “minimali” che affiorano da un determinato contesto sociale (l’idioma dialettale ed i modi di dire popolari, gli usi e le consuetudini del mondo contadino, i vecchi mestieri, le malattie di una volta ed i rimedi empirici per curarle, le pietanze tipiche locali, ecc.) e che, non meno dei cosiddetti “grandi eventi”, consentono una “lettura” estremamente esaustiva di ogni realtà territoriale nell’ambito di una determinata epoca: Calabrò, in pratica, fa proprio il principio in base al quale a “scrivere” la storia non sono solo “sovrani e generali”, ma anche l’umile contadino e la laboriosa massaia, dai cui modi di esprimersi e di attendere alle occupazioni quotidiane è possibile risalire alle caratteristiche socioeconomiche ed al “clima” politico del contesto in cui essi si ritrovano.
Ma con una traslazione ancora più ampia, possiamo anche affermare, senza tema di smentita, che gli scritti di Salvatore Calabrò (sia quello di trent’anni fa e sia il nuovo) vanno oltre la pura e semplice storia di Graniti, acquisendo un valore universale: come l’autore stesso tiene a sottolineare «le vicende di questo piccolo paesino, così come di tutti gli altri della “remota” provincia siciliana, testimoniano le dinamiche storico-sociali che hanno riguardato l’intera Isola; è vero, dunque, che mi sono occupato di un singolo Comune, ma facendo leva su di esso credo di aver offerto un più generale spaccato di Storia di Sicilia».
La recente fatica letteraria dell’avvocato Calabrò (frutto di pazienti e scrupolose ricerche in loco e presso l’Archivio di Stato di Palermo) è corredata dalla prestigiosa introduzione di Monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, stretto collaboratore di Papa Benedetto XVInonché popolare volto televisivo in quanto protagonista di programmi e rubriche a carattere religioso; l’autore granitese è, infatti, amico di vecchia data dell’alto prelato avendolo conosciuto e frequentato sin dai suoi primi anni di residenza in Lombardia. Ravasi ha paragonato Calabrò all’eroe omerico Ulisse, animato dalla nostalgia della sua Itaca. «Qualcosa del genere – si legge al riguardo nell’introduzione –attraversa l’animo di Salvatore Calabrò, che da anni vive lontano dalla sua Sicilia: egli vuole ritrovare il “passato da ricordare”, e Graniti è la sua ideale Itaca».
Ma qual è, oggi, il reale rapporto tra Calabrò ed il suo luogo natio? «Come tutti i siciliani della diaspora – risponde l’autore – sento un forte legame con la mia terra, dove ritorno ogni volta che mi è possibile obbedendo ad un irresistibile fatale richiamo d’amore. Amo il mio paese, i colori ed i profumi della sua natura e la sua gente laboriosa ed ospitale. Ma proprio perché lo amo, provo un profondo rammarico nell’osservare che questo paese: non ha saputo conservare l’antico tessuto urbanistico; è chiuso da decenni in un immobilismo economico, turistico e culturale che ne impedisce la crescita; manca di qualsivoglia spirito associazionistico in grado di promuovere le risorse locali e di favorirne l’inserimento nel circuito turistico della vicina Taormina; esprime spesso esasperati e deleteri individualismi, meschini ostracismi e gelosie di varia natura che impediscono la riuscita di certe iniziative. Mi scuso per questa nota critica, ma la ritengo doverosa per tentare di stimolare i miei compaesani ad impegnarsi in modo proficuo per la crescita di Graniti onde riportare il paese a quelle posizioni di vertice che occupava nel secolo scorso nella provincia di Messina. Con i miei libri mi rivolgo, in particolare, alle giovani generazioni, affinché traggano insegnamento da ciò che i loro antenati hanno saputo fare».
Come accennavamo all’inizio, “Graniti, un passato da ricordare” è stato recentemente presentato nella Chiesa Madre del piccolo centro, intitolata a San Basilio Magno, alla presenza dell’autore e con gli interventi del sindaco Marcello D’Amore, del parroco Don Enzo Di Mura e di numerosi operatori culturali.
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