Donatella ha avuto un’infanzia felice circondata da tanto amore. Due genitori meravigliosi che hanno saputo impartire a lei e ai suoi fratelli il rispetto per l’altro, sempre e comunque. Appena diciassettenne si imbatte in un ragazzo, Luca, più grande di nove anni, che le fa battere il cuore… e così decide ingenuamente di sposarlo. Era perdutamente innamorata di suo marito. Aveva tutto ciò che desiderava: una bella casa accogliente, due figli sani, soldi e benessere. Poi iniziano i conflitti, quando scopre come suo marito trascorre le serate fuori casa. Pianti in silenzio, insulti, gelosia… Trascorrono gli anni al fianco di un marito abilissimo nel plagiarla in continuazione e cocciuto nel mantenere costantemente il controllo sulla moglie. Da parte di Donatella rabbie a lungo sopite, frustrazioni snervanti che le facevano perdere la nozione del tempo che passava, senza più né gioie né soddisfazioni. Con lui si era lasciata andare sino a perdere ogni autostima, priva di stimoli nel proseguire una vita nella quale era sottoposta a un continuo attacco al suo modo di essere. Tutto la soffocava e le toglieva la voglia di vivere. Da tempo aveva smesso di ridere, il continuo groppo in gola che non le dava pace, togliendole la spensieratezza. La sofferenza che aveva dentro era diventata pesante, non c’erano più momenti di intimità tra loro ma solo amarezza, che lasciavano il segno e non si potevano dimenticare. I bambini obbligati ad assistere inermi a questa teatralità. La vita di Donatella era diventata un caos, stava andando a pezzi a una tale velocità che non trovava nemmeno il tempo di fermarsi a raccogliere i cocci. Il suo dolore aveva un nome, un profumo, degli occhi, un sorriso… Accorgersi che forse quell’amore trasognato e sperato non era mai esistito. Ed è proprio da questo caos che la protagonista trova la forza di risalire dalle ceneri, una metamorfosi che parte dalle radici… «È insito un dono nella nostra natura, grazie al quale non comprendiamo, sul momento, l’intensità della nostra sofferenza, ma la possiamo valutare solo più tardi, dalle tracce che la sofferenza ci lascia.»
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