Note: Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è realmente il solo sistema che come tale possa con qualche certezza riferirsi all’età prebuddistica. Fondatore del medesimo secondo la tradizione sarebbe l’antico saggio Kapila; il quale sembra essere veramente una personalità storica, sebbene intorno ad esso nulla sappiamo di certo, nessun valore avendo le numerose e varie leggende che a lui si riferiscono. L’unica tradizione attendibile sembra essere quella che si connette alla città di Kapilavastu (residenza di Kapila); la quale sarebbe stata così chiamata in suo onore per essere stata il teatro principale della sua attività. L’opinione comunemente ricevuta che fa del Sankhya un antecedente del Buddismo riposa quindi più che su precise testimonianze storiche, sulla stretta analogia che in parecchi punti ravvicina i due sistemi. Vero è che gli argomenti generalmente addotti già al Weber parvero poco soddisfacenti; e più recentemente l’Oldemberg e Max Müller sollevarono a questo proposito dubbi non ingiustificati. Ma le acute ricerche del Garbe sembrano aver messo oramai fuori di dubbio l’antecedenza del Sankhya di fronte al Buddismo. Il Sankhya fu in origine, ed è nella sua essenza, straniero alla ortodossia bramanica; e la sua origine è secondo ogni probabilità da ricercarsi nel ricco movimento filosofico-religioso che precedette nell’India orientale la predicazione del Buddismo. È noto infatti che il diffondersi del monismo mistico delle Upanishad provocò in questa parte dell’India ancor straniera alle tradizioni ed all’ordinamento bramanico un movimento speculativo indipendente d’un carattere affatto particolare. Lasciata da parte ogni rivelazione, lasciata da parte ogni ricerca sull’Atman, l’attenzione fu rivolta esclusivamente ai problemi del dolore dell’esistenza, del merito delle opere, della purificazione dell’anima e della liberazione; e da ogni parte sorsero numerose sette ascetiche delle quali ciascuna pretendeva aver trovato la via alla liberazione e nel cui seno si discutevano i più alti problemi dell’umano destino. Un pallido ricordo di questo vario movimento intellettuale ci è conservato in alcuni dei più antichi sutra del Buddismo, nei quali è fatta menzione delle scuole esistenti al tempo di Budda e da questo combattute e non è a tacersi che secondo il Bühler ed il Garbe in uno dei suddetti sutra sarebbe appunto a vedersi un’allusione al nostro sistema. In tempi posteriori poi (secondo il Garbe verso gli ultimi secoli prima dell’era cristiana) con l’estendersi del bramanismo accadde del Sankhya come di altri sistemi originariamente contrari alla rivelazione Vedica, che furono attratti nell’orbita dell’ortodossia bramanica. Quindi è che tutti i testi nei quali ci giunse la dottrina Sankhya sono opera di bramani ortodossi. Ciò non vuol dire tuttavia che il Sankhya abbia dovuto subire gravi modificazioni ed assumere una forma essenzialmente diversa da quella che originariamente rivestiva. Diventato così un sistema ortodosso il Sankhya esercitò ben presto una grande influenza su tutte le manifestazioni del pensiero bramanico, e si mantenne per lungo tempo fiorentissimo. Più manifesta ancora è questa influenza nel sistema Yoga (attrib. a Patanjali II sec. a.C.), il quale più che un sistema filosofico deve essere considerato come l’esposizione sistematica dell’ascetismo, bramanico, nella quale la parte puramente filosofica (ad eccezione del riconoscimento della divinità) è tolta interamente dal Sankhya. |