Note: Quanto lontano si può fuggire da qualcosa che si ha dentro?Le storie brevi de La bellezza dello sgorbio, pure autosufficienti, sono giustapposte per il fatto d’esprimere diverse declinazioni di quell’unica domanda. Il surrealismo dell’ordinario, denso di angoscia e di delirio come la stessa grottesca quotidianità che pare relegare i personaggi a una sorda, definitiva inquietudine, percorre i plot per sciogliersi, più o meno subitamente, in altrettanti epiloghi mai ultimativi: come fosse ancora una volta una virgola, anziché un punto, a conclusione di tutte e trentotto le variazioni sul tema.Nell’illusione di potere rispondere a quella domanda, i personaggi intraprendono viaggi verso destinazioni ora assurde e paradossali (l’incursione del bulimico all’interno di una pentola in Paranoid lunch), ora inimmaginabili (dove mai condurrà lo Shinkansen Majorana, treno a energia perpetua, il suo unico occupante?), o ancora sfrontatamente congruenti (la ninfetta di Fait à la maison monta sul furgone di un corriere di Amazon).In ogni caso, mai prevedibile è l’esito della strada (chissà a cosa prelude, stanotte, la nera luce nello sguardo di Pasquale, il conducente di pullman che Non si lamenta; farà bene il suo lavoro il neoeletto Dio ne L’elezioni? Riusciremo a chiudere La valigia? Quale il destino, dopo lo strappo fatale, di Uno scritto al suo scrittore?); così come della strada è mutevole il disegno, scavato nel profondo dell’anima dei personaggi.Una liturgia delle confessioni (dolorosa e compassionevole quella della Fata Turchina in All’ultimo momento; didascaliche quelle altre, negli autobiografici Cose che detesto, apertamente dedicato a Dino Buzzati, e Definizioni di me dal al, elencazione di apposizioni in ordine alfabetico) e delle memorie (Il ricordo di Jezabel Kahn, Arancia, 4’54), nel cui ordito è dominante un motivo: sarà sciocco pretendere di disegnare un airone o una stella, o una mano, quando il tratto si è ormai avviato verso una forma diversa e tuttora imprevedibile? |