Note: Prefazione
Dicono che solo la bellezza potrà salvare il mondo. Anche imperfetta, certo. Magari travestita da brutalità e squallore. Capace, però, di quel guizzo di umanità - di bellezza appunto - che in un istante può riscattare un’intera esistenza sbagliata.
Girolamo Scimone incarna quanto ci sia di più marcio in una città bella e ferita come Palermo. Sfrutta le donne, tira cocaina, gioca i suoi soldi ai cavalli, frequenta la malavita e passa le sue notti a bere e far festa alla Vucciria con gente come lui. Anzi, peggio di lui. Dice che non ci pensa a invecchiare, che non bisogna mai smettere di essere ragazzi e che per questo la sua vita è spettacolare. Solo che di spettacolare la sua vita non ha proprio nulla. Non ha amici Girolamo, non ha un amore, ripensa sempre a quella “prima volta” a diciotto anni, probabilmente l’unica volta con una donna che l’amava sul serio: “È stata imprevista – dice – ed è questo che ci rende vivi”.
Un giorno la vita di Girolamo Scimone cambia. Perché dal pulmino che ogni notte porta le sue schiave alla Favorita scende una bellissima ragazza ucraina, Victoria, e quando i loro occhi si incrociano il pappone palermitano capisce che nulla potrà essere più come prima. “Io non mi innamoro mai delle mie puttane”, le dice una sera, ma è una bugia. “Tu sei l’errore più grande della mia vita”, rivela Girolamo a Victoria, l’imprevisto di una vita sprecata che forse non può più essere recuperata.
Quando Davide Vigore mi ha fatto vedere “La bellezza imperfetta” il suo “corto” tratto da questo libro – o forse è il contrario, ma che importa? – ho pensato che spesso la poesia più bella, quella più intensa, può nascere solo da macerie e disperazione. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori diceva il poeta, appunto.
Girolamo è un uomo brutto, dentro e fuori. Ma la bellezza di Victoria lo redime, fa di lui una persona migliore, gli fa comprendere i suoi errori.
Anche se Victoria, come aveva previsto, sarà l’errore più grande della sua vita.
La bellezza imperfetta di Scimone è quella della città in cui Davide Vigore ha voluto ambientare la sua storia. La “sua” Palermo, la “nostra” Palermo. Marcia, decadente, irripetibile: “In qualche modo – mi spiegò una sera davanti al secondo (o terzo, chissà) aperitivo nella città che abbiamo scelto, Roma - voglio pensare che se persino un essere ripugnante come Scimone ha un’anima e riesce a riscattare un’esistenza sbagliata, anche Palermo potrà rialzarsi e tornare ai fasti di un tempo”.
Perché con Davide succede sempre così. Si parla di cinema, di pallone, di donne. Ma alla fine il discorso cade su Palermo, la “maledetta” che ci ha preso un pezzo di cuore. La città nella quale lui scava a fondo con la macchina da presa raccontando storie minime che poi si rivelano le più profonde. Come quella di Maurizio Schillaci, la stella del calcio rovinata dalla droga, protagonista del fortunatissimo “Fuorigioco”. A Roma, invece, aveva collocato Massimo Chiappini,
il viveur della “Compagna solitudine”, costretto a chiudersi nella sua casa barocca, conscio che il suo futuro si stava velocemente esaurendo.
Cosa c’è dopo il successo è il tema dominante nell’opera di Davide Vigore. Un grande tema che prima o poi tocca tutti. “Mi piacciono le storie di antieroi, quelli che cercano di stare in piedi nonostante tutto e contro tutti – mi raccontò quel pomeriggio il giovane e talentuoso regista siciliano - È il personaggio che mi affascina, poi intorno cerco di costruirci una storia. Farò così anche per il mio primo film “lungo”. O almeno ci provo”.
Già, perché adesso l’esame di laurea per questo trentenne che ha fatto incetta di premi non può che essere l’esordio con un lungometraggio. Anche perché Davide scrive, scrive, scrive tantissimo. E di storie da raccontare ne ha ancora tantissime. Poetiche e suggestive, esaltate da un maestro della fotografia come Daniele Ciprì magari, il primo ad aver intuito il talento di questo cineasta appassionato che nell’ultimo anno ha lavorato con un premio Oscar come Paolo Sorrentino, mica pizza e fichi come dicono qui a Roma.
Roma, la città che ci ha adottato ma che non potrà mai – mai – cancellare dal cuore quella capitale della “Bellezza imperfetta” che come Girolamo Scimone, un giorno, saprà finalmente alzare la testa.
Lucio Luca
giornalista di “la Repubblica”
L’Autore:
Davide Vigore (Enna 1989), regista e sceneggiatore.
Si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia - Scuola Nazionale di Cinema.
Nel corso degli studi ha realizzato documentari e cortometraggi.
Nel 2015 vince il Premio Doc / it e i DocUnder30 (Miglior Film e Miglior Regia) con il film Fuorigioco, mentre nel 2016 con La Compagna Solitudine è finalista al Bellaria Film Festival. Nel 2016 il cortometraggio La Viaggiatrice, viene selezionato e presentato in concorso alla 73°Mostra Internazionale del Cinema di Venezia - sezione MigrArti, vince ai Nastri d’Argento 2017 e selezionato al 70° Festival di Cannes - Sezione Short Film.
Nel 2011 con Euno Edizioni pubblica il libro Per un’educazione interculturale tratto dal suo primo cortometraggio Amira.
Nel 2016 viene presentato il suo libro La Viaggiatrice (Maurizio Vetri Editore) in occasione della Fiera Nazionale del libro di Palermo. Il 28 Agosto del 2016 riceve il Premio Nazionale di scrittura, saggistica e letteratura PIÙ A SUD DI TUNISI. |