Note: Alla vigilia della Rivoluzione, una compagnia numerosa e varia, gente di corte, di lettere, di diritto, con il relativo contorno di «grandes dames» amanti del pettegolezzo filosofico, è riunita a Parigi nel salotto di un membro dell’Académie française. Si brinda, si scherza, si applaude alle nuove idee di libertà che il Secolo dei Lumi ha portato con sé, ci si appassiona a pensare quanto meravigliosa sarà la Francia una volta che la Ragione avrà inaugurato il suo regno. Solo uno dei partecipanti non si lascia contagiare dall’entusiasmo: il suo nome è Jacques Cazotte, scrittore famoso per il suo Diavolo innamorato, figura nota anche per la sua vena mistica ed esoterica, nonché per quelle che qualcuno ama definire virtù divinatorie... Così, quando finalmente Cazotte prende la parola, lo si ascolta con grande interesse all’inizio, con incredulità poi, con sdegno infine, perché il futuro della Francia da lui descritto non è altro che orrore e sangue. Raccontata da Jean-François de La Harpe, uno dei presenti a quella riunione filosofico-mondana, La profezia di Cazotte è fra i testi più famosi sulla Rivoluzione francese: in esso c’è un corteo di morti illustri, Condorcet, Malesherbes, Chamfort, de Gramont, e la messa in discussione degli «immortali princìpi» che erano stati alla base del 1789. Una profezia di distruzione che però e purtroppo vale anche per chi l’ha pronunciata, come un secolo e mezzo dopo scriverà Paul Morand nel suo L’ultimo pasto di Cazotte, dove l’anziano scrittore attende con tranquilla fermezza che arrivi la sua ora e intanto dialoga con il giovane collega inglese Matthew G. Lewis, che gli ha portato il manoscritto del suo romanzo gotico, Il monaco, per averne un giudizio: «Il diabolismo, signore, non è serio. Questo romanzo nero, potete viverlo qui in piena luce senza che ci sia bisogno dei vostri lugubri castelli. Si chiama la Rivoluzione, per il momento francese». Edizione numerata da 1 a 1000. Traduzione e postfazione di Stenio Solinas. |