Note: Era tutto pronto per impaginare,
quando ho saputo di essere positivo.
Una degenza di venticinque giorni ha dato forma alla mia idea di essere un paziente.
Ho bisogno di scrivere, di fissare tutto quello da fare. Di riempire foglietti svolazzanti con scalette di banali quotidianità. Per potere spuntarle soddisfatto. Ma anche di annotare su un diario, di mettere in salvo qualcosa che mi ha lasciato un segno, che ho imparato e che temo di non trattenere a lungo nella mente. Una testimonianza scritta che il giorno non è passato invano. Per riservarmi la possibilità di una rilettura aritmica, per riattivarne la conoscenza, per rimaterializzare il passato.
Quando poi, dall’iceberg di progetti è emerso il proposito di compattare alcuni frammenti di vita, li ho annodati ad un filo comune, con la presunzione che così non sarebbero andati dispersi. Ne è venuto fuori uno zibaldone di esperienze mediche e umane da un punto di osservazione necessariamente invadente.
Racconti scritti per l’input attraente del fascino del passato che riaffiora. In un mondo di un’uguaglianza senza deroghe.
Notizie a volte estorte, talora riferite con il tono e l’atteggiamento di una confessione. Con la suggestione variabile di incontri capaci di rattristare, ma anche di concedere la condivisione di una risata liberatoria.
Le storie raccontate, tutte reali, con le variazioni ovvie per il rispetto di vite private, tracciano un’attività che scandaglia l’intimità. Una raccolta di momenti di un lavoro che dà una conoscenza accelerata delle avversità della vita e una consapevolezza anticipata della morte. Malgrado questo, o forse proprio per questo, capace però di trasmettere un senso di leggerezza dell’esistenza. |