Note: Noi viviamo nell’assenza raminga degli dei, e, orfani del senso del mito, umbratile consistenza rispetto alla parola degli immortali, ci avvoltoliamo entro riproposizioni, celebrazioni, narrazioni, conservazione museale. Orfani per la morte del dio che ci conduca con la fiaccola che riluce, e allontana le lamie dell’ora più fonda della notte, abbiamo perso anche il contatto con gli Archetipi, dopo aver consegnato a Prototipi esigenti e feroci altari e radure, alimentando quel senso del Tremendum che ha soffocato, nel sangue del sacrificio, il legame intimo con gli dei, nutrendo nei Prototipi il nostro linguaggio e la nostra anima avvizzita. Il mito è stato un modo poetico per oltrepassare la religione istituzionale, di cui è stata cristallizzazione, ma si è perso per noi entro le nebbie di società ormai scomparse. E’ divenuto narrazione culturale, eredità d’un passato. Noi viviamo l’assolutezza d’un mondo la cui direzione è la freccia di un tempo lineare che ci convince del progresso del dopo rispetto al prima, come l’eterno ed il circolare ostinava il nostro gregge all’armeggio del destino inevitabile. Ma il mito, nella sua essenza prossima al legame originario con gli dei, divora la baldanza dello spezzettarsi nel momento, baldanza che presto s’infiacchisce. Il mito è nato nel dissolversi di Padre Chaos e del nascondersi delle sue labbra dischiuse, nel duplice ed opposto Silentium aurorale, generatore del verbo; tuttavia, le sue labbra sporgono oltre l’abisso kenomico in cui l’equivoco ci ha scagliato, per mormorare a noi tutti, orfani del tempo, del senso del suo scorrere, l’importanza d’una radice salda che imbriglia il nostro terreno, permettendo l’ancorarsi della pianta, ed il nascere del frutto. |