Note: Antonio e Benedict, eccentrica coppia di amici che vivono un sodalizio scandito da rare frequentazioni, limitate spesso allo scambio di biglietti o squilli di telefono. Antonio è attratto dal tennis come incontro-scontro in cui i giocatori dialogano senza parole, separati da una cortina che li fa garbatamente avversi. Benedict ama la pseudovicinanza consentita dal binocolo, col quale perviene a una prossimità artificiosa che è pur sempre la conferma di un’oggettiva distanza. L’uno è consapevole della propria inquietudine, tenuta a freno dall’onirismo; l’altro è inflessibile nel fabbricarsi ritualità quotidiane che vorrebbero scongiurare l’imprevedibile. Entrambi verranno messi in crisi dall’arrivo di una conoscente di Benedict, la cui presenza promuoverà inediti triangoli relazionali in grado di alterare la fredda geometria con cui i due si sono illusi di controllare le proprie emozioni. Eppure sembra che nessuno in Estuario riesca davvero ad aprirsi all’altro. Congelati in un narcisismo apatico, i personaggi della Morazzoni limitano i contatti allo sguardo, restando gelidi osservatori. Condannati a sfiorarsi, all’allusività di approcci che abortiscono, essi riescono solo a ribadire la propria vocazione alla solitudine. La scrittura traduce questa fibrillazione di implosioni emozionali in esercizio di stile. E se nulla accade nel romanzo, a rimarcare l’ossessione dell’immobilità, molte pagine risultano costruite impeccabilmente e danno tuttavia l’impressione del vuoto; come i rari dialoghi finalizzati non già a comunicare bensì a recitare l’estrema disaffezione del vivere. |