Note: 13 artisti, 7 giorni di reclusione, un isolamento di 21 ore su 24 in una cella di 3 x 2 m, senza telefono o altro dispositivo. Un solo compito: realizzare una stanza-opera che contenesse, insieme agli eventuali manufatti artistici prodotti anche tutto quello che era servito alle necessità del soggiorno. Vivere una “situazione” di limitazione della libertà, utilizzando il tempo per realizzare uno spazio che fosse soprattutto “spazio mentale”. Per due ragioni. La prima ragione per mettere l’arte dietro le sbarre aveva a che fare con il concetto di site specific. L’edificio – l’ex carcere mandamentale di Montefiascone – era stato per un secolo destinato alla funzione detentiva. Un luogo così fortemente connotato non poteva semplicemente farsi contenitore di lavori nati altrove, ma richiedeva un’attenzione e una sorta di rispetto, per tutta la sofferenza che l’aveva attraversato. La seconda ragione ha a che vedere con il desiderio di osservare, in una dimensione quasi laboratoriale, l’esito e la dinamica del confronto fra la più libera delle pratiche dell’uomo – l’arte – e il tema del limite, della costrizione, della “gabbia”. I risultati di questa incredibile esperienza sono raccolti nel catalogo Mezza Galera. Artisti in resilienza. |