Note: Stiamo vivendo da anni un momento non felice per la Storia; i giovani vivono nell’Età dell’informazione, come scrive Manuel Castells, vivono il tempo senza tempo, dove si riduce la possibilità diacronica della riflessione sul rapporto tra passato e futuro e dove tutto è invaso dalle informazioni pratiche e immediate e, perciò, si tende verso la perdita della memoria collettiva della nostra storia nazionale e locale. La crisi della Storia è cominciata nel 1989, quando con il crollo del muro di Berlino e con la vittoria del modello democratico liberale occidentale sembrò che fosse finito lo scontro fra due grandi sistemi: capitalismo e comunismo. Da quel momento si è avuta l’impressione che fosse nato un nuovo mondo: un mondo senza storia. Sembrò che quest’ultima, intesa come lotta o conflitto, avesse trovato la sua fine e come conseguenza ci si aspettava una pace mondiale durevole; si entrò, invece, in un mondo controllato dal neoliberismo, con la predominanza della finanza internazionale. Il sapere storico, in questo quadro, ha perso la sua importanza; ha perso la sua importanza proprio nel momento in cui è finito il conflitto politico e si è avuto come conseguenza anche una l’ eclissi del valore dell’insegnamento e della formazione scolastica della storia e con essa si è eclissata anche l’importanza della costruzione della memoria sociale, che prima si sviluppava all’interno delle famiglie, dei luoghi di lavoro, di studio, dei partiti politici e delle tradizioni operaie: la memoria sociale così cessa di esistere. È proprio dallo studio o dalla conoscenza del passato, dal confronto tra le varie epoche e tra i vari personaggi, che gli uomini possono arricchire le proprie coscienze e conoscenze, perché il passato porta con sé un immenso patrimonio di esperienze da cui attingere, grazie al quale è dato orientarsi nel presente. In ogni caso, la conoscenza della storia, lo studio e la divulgazione colta potrebbero essere un antidoto decisivo a evitare due vizi del nostro paese: il vittimismo e il provincialismo. Vizi che danneggiano le nostre tradizioni civili, le prospettive politiche e l’identità culturale. Ed è per questo motivo che nasce il libro, che è dedicato proprio agli studenti, affinché possano ripensare a ciò che è accaduto e a riflettere su alcune tematiche di storia che hanno caratterizzato i due secoli precedenti: Otto e Novecento. Di Dato Ferdinando (Napoli, 1965), laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, è docente di ruolo di Storia e Filosofia nel Liceo classico-scientifico V. Imbriani di Pomigliano d’Arco (Na). Ha pubblicato su riviste e ricerche di storia socio-economica sull’Età moderna e sul Mezzogiorno d’Italia in età liberale: Potere, politica, economia e cultura nel Mezzogiorno d’Italia tra Ottocento e Novecento. Saggio e ricerche, Napoli, 2011; La Dogana della Mena delle pecore di Foggia tra agricoltura e pastorizia, Napoli 2012; Credito e mercato della terra in un paese dell’Alta Irpinia: Vallata 1860- 1880. Terra e denaro, Napoli 2012; Napoli, Pasquale Turiello e La Rassegna Agraria, Industriale, Commerciale, Politica di Eduardo Capuano (1892-1910), Napoli 2013; Lettere di Eduardo Capuano e di Pasquale Turiello al ministro Luigi Luzzatti (1896-1909). Con un saggio introduttivo. Parma 2014; Riforma protestante e Controriforma tra Stato, economia e società. Introduzione storica, Parma 2017; Giornalismo, economia e società a Napoli tra Otto e Novecento, Youcanprint, 2021. |