Note:
Qualcosa di diverso
di Diego Seno
Editore: Il Foglio
Lingua: Italiano | Numero di pagine: 144 | Formato: Altri
Isbn-13: 9788888515694 | Data di pubblicazione: 2003
Descrizione del libro Del
libro di Seno,”Qualcosa di diverso”, si riesce a salvare solo il
disegno della copertina. Tutto il romanzo, dalla prima parola della
prima parte fino alla fine, trasuda un penoso scimmiottamento di un
libro, questo si vero capolavoro di Burgess, “Arancia meccanica”,
sceneggiato con maestria insuperabile da Kubrick. Romanzo verboso,
quello di Seno, noioso, pesante, fin troppo scontato nelle conclusioni:
deludente. Il vistoso intercalare di testi di canzoni, fra le quali
quelle di Ligabue, non impreziosisce certo la narrazione, che scorre
incontrollata fra parti anatomiche di entrambi i sessi, per approdare
sfinita, dolorante, alle considerazioni velleitarie del protagonista: è
una società che fa schifo. “Qualcosa di diverso”, si mette sullo stomaco
di chi legge, come un piatto troppo pesante, troppo unto, che alla fine
lascia sfiniti, o peggio. Non suggerisce boicottaggi verso una società
che si rifiuta di comprendere; non concepisce eresie come riflessioni
sulle sue debolezze momentanee, strutturali. Sembra di vedere un
rappresentante dei cosiddetti “punkabbestia”; ma, ahimé, si intravede
soltanto un ragazzetto, un diciassettenne smandrappato, infoiato, che si
da’ delle arie, attribuendosi peccati ed eresie; galvanizzato dal suo
stesso sesso, che usa come fosse una mazza da baseball. Non riesce ad
insinuare nemmeno dubbi vecchi come il cucco; ma se mai fa riflettere su
una generazione, forse agnostica, forse triste. A meno che, tanto
accanimento contro le banalità di una società qual è quella dipinta nel
libro, e gli errori storici che hanno provocato un rifiuto così forte,
servono esclusivamente ad insinuare in chi legge la necessità di una
difesa non solo da un utilitarismo forzato, agghiacciante; ma anche dai
pericoli di una società che oggi discute di eutanasia, di aborto, Pacs, e
perfino di donne sacerdote. Come nel film di Kubrick, nel racconto di
Seno la musica, se non la si sente, sembra essere parte integrante del
racconto stesso, e addirittura, in alcuni casi, il motivo delle azioni
di Marco. Là troviamo Ludovico van, qua ci sono i Nirvana e Ligabue.
Beethoven – la sua musica- è l’anima stessa di Alex, il protagonista di
Arancia meccanica, la sua componente più intima e pura; Rossini è quella
in cui questa componente si trasforma una volta varcata la soglia di
casa. I Nirvana, Ligabue sono la forma di Marco: sono comunione di
sentimenti, di emozioni, di passioni. Marco e suo “zio Micky”, dividono
tutto: fumo, donne, musica e, più avanti, la stessa passione politica,
sulla quale è meglio tacere. Ci si trova davanti a un quadro nel quale
si scopre che esiste una forte pressione dell’utilitarismo legata
all’invasione dell’ideologia neoliberista, in tutte le sfere della vita.
Quasi una formattazione degli individui, mediante la classificazione
dei loro sintomi, e il ricorso ad “etichette” che tendono a spianare le
loro molteplicità. Un’incursione rapida nel territorio dell’antropologia
diventa indispensabile. Si potrà fare, così, riferimento alle categorie
definite dall’etnologa F. Heritier, che spiega come ogni cultura
distingua il possibile - ciò che le persone possono fare in pubblico e
in privato - e il pensabile - ciò che sembra loro corretto o lecito.
Secondo la definizione che ne danno Benasayag e Schmit nel libro “
l’epoca delle passioni tristi”, il pensabile non indica “ciò che
ciascuno può pensare, nel senso di immaginare, né un’attività di
riflessione o di elaborazione concettuale; ma è l’insieme di atti che
ogni membro di una cultura…accetta in quanto rispettosi dei fondamenti,
come conformi o adatti alla vita”. Il possibile è un insieme molto più
vasto, perchè “è possibile distruggere le case degli altri,
incendiandole, derubare o martirizzare i più deboli, violentare le donne
che ci attraggono”. E’ evidente che in circostanze normali, questi atti
sono possibili, ma non pensabili. Il limite tra possibile e pensabile è
fissato dai divieti, dalla sacralizzazione: si può infrangerli, ma ciò
comporta la fine della società, e della vita stessa. E comunque
significa mettere in discussione i fondamenti della nostra cultura, in
maniera radicale. L’equilibrio di una cultura, dipende dalla capacità di
tutti gli uomini di accettare l’esistenza di un non-sapere, da non
confondersi con l’ignoranza. Anzi il non-sapere è all’origine stessa di
ogni produzione di sapere, come l’inesprimibile è all’origine di ogni
espressione artistica. E’ quello che Wittgenstein nel suo Tracatatus,
spiega, quando afferma che ciò che si esprime attraverso il linguaggio
non può esprimersi nel linguaggio. Pertanto, lo sviluppo dell’essere
umano non deve essere pensato come un’abolizione dei limiti naturali o
culturali; ma, al contrario, come una lunga e profonda ricerca di ciò
che tali limiti rendono possibile. Ma, ahimé, nella nostra epoca,
l’ideologia scientista, sempre presente nella società, si è manifestata
con evidenza incontrovertibile, affermando che “tutto è possibile”, o
che dovrebbe esserlo. Ecco, il delirio di onnipotenza, il sogno di
onnipotenza dentro il quale si cade. E Marco c’è dentro, fino al collo.
Nei suoi rapporti con l’altro sesso, parla di scontro frontale col
nemico,”il mio esercito fa scempio nelle retrovie”,”il cimitero dei miei
valorosi soldati questa volta è all’entrata principale”, e così via
discorrendo. Sublimazione senza intelligenza. Nelle scelte assurde che
Marco fa, si compie il suo destino. Nella costruzione, e nel tentativo
di costruzione di un suo mondo, Marco dimentica gli altri. E’ con “gli
altri”, quelli che non la pensano come noi, che si costruisce una
società più armonica, meno obliqua. Certo, vi sono falle vistose nel
progetto di costruzione di una società moderna, che spesse volte resta
paralizzata di fronte alla perdita dell’onnipotenza. Il discorso sulla
sicurezza non può giustificare la barbarie e l’egoismo, la rottura dei
legami di solidarietà più generalizzati; perché, quando una società è in
crisi aderisce massicciamente e in modo irriflesso a discorsi in cui
non si parla d’altro se non della necessità di proteggersi e di
sopravvivere. Marco e il suo gruppo, risultano così essere depositari di
desideri velleitari, che impediscono loro di sostenere legami concreti,
che li possano spinger fuori dall’isolamento nel quale la società che
dicono di non riconoscere, tende a rinchiuderli, in nome degli ideali
individualistici. Diego Seno non propone alternative valide; anzi,
accentua una dimensione di fragilità personale in cui l’immaginario
brutale che divide il forte dal debole, è sempre presente, e spinge
verso una meta affannosa (…ma l’anarchia che avevo dentro non sarebbe
morta) ed incerta (… forse con lei tutta la mia vita sarebbe cambiata).
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