Note: Fu mio padre che un giorno, di ritorno da Cosenza, mi consegnò un libro incartato. Erano i primi anni del Liceo. Un libro che conservo ancora... Così parlò Zarathustra. Questo era mio padre. Da Carolina Invernizio a Nietzsche. Gli anni sono passati. Gli anni passano sempre e diventano imprevedibili. Non più catturabili. Quante volte ci siamo guardati e ci siamo giocati un attimo di tempo. Un bacio in più. Una carezza in meno. E poi ho ripreso il viaggio lasciandomi alle spalle il suo saluto con la mano alzata. Guardavo lui e mia madre dallo specchietto retrovisore dell’auto. Osservavo il loro saluto! Continuo a vedere il loro riflesso mentre sono io che parto, mentre sono io che lascio la casa di paese, dove sono nato per vivere nell’intreccio della vita. Loro sono lì che mi salutano come sempre. Con le loro mani alzate a dire: “Torna presto!” Quell’ultima volta che mi salutò, l’auto aveva già preso la curva che mi portava oltre.
C’è sempre un tempo per rincasare e ricominciare il viaggio con la pazienza del limite e il sorriso nel cuore. Camminare tra le strade del paese, di notte, e osservare le pieghe del vento, è dimenticare ciò che è assenza affidandosi agli dèi, che hanno accompagnato Odisseo sino a ricondurlo ad una serena inquietudine. Nella vita bisogna sempre avere il coraggio delle scelte per essere veri. Per essere uomini! Riapro l’ultimo capitolo del primo libro di Carolina Invernizio e ascolto le voci! |