Note: A causa di lavori di manutenzione, il treno delle 7.40 da Brighton a Gatwick era stato deviato a Littlehampton, come spesso accadeva in quei giorni nei fine settimana, ed era lentissimo. Quando il treno si fermò a Littlehampton per una buona mezz’ora, non ebbi altra scelta che prendere un taxi e correre a Gatwick dove arrivai 20 minuti prima del decollo del mio aereo, e pagato il taxi rimasi con 22 sterline in tasca, per gentile concessione delle British Rail. Speravo in un ritardo del mio volo; le distanze all’aeroporto di Gatwick sono grandi e il divario tra il check-in e l’imbarco può essere misurato in miglia o mezz’ore. Nessuna fortuna questa volta, l’aereo doveva decollare in punto. Ho sempre viaggiato con piacere ma mai per piacere. Quindi, la possibilità di vedere la Grecia con una giustificazione alla fine mi era venuta incontro. Stranamente avevo ricevuto una telefonata da Weidenfeld e Nicholson, i primi editori britannici di Lolita, che non erano i miei editori, quindi ero perplesso. Bob Baldock, il capo redattore, mi aveva detto al telefono: C’è un milionario greco che vuole che tu faccia un libro per lui, e desidererebbe che tu andassi ad Atene per discutere della questione, se tu potessi. Un milionario greco? Come diavolo mi ha scoperto! Bene, vedremo. L’importante è che finalmente vedrò la Grecia all’età di 44 anni, e dopo che mi sono occupato di archeologia classica per almeno 20 anni! Non andrò in vacanza, non l’ho mai fatto e difficilmente ci andrò da turista. Vado i luoghi che mi interessano per un motivo preciso e mai “perché ci sono” come dice il turista; questa mentalità mi è estranea, la mia educazione è stoica. Sono un viaggiatore particolare, diverso da qualsiasi altro viaggiatore che abbia incontrato, letto o sentito nominare: viaggio per ragioni che solo un contadino approverebbe. Raggiunsi l’aereo ansimante e sudato alle 10.20, solo 10 minuti prima del decollo. La mia vasta valigia rigonfia aveva ostacolato la mia corsa, non avrei potuto farcela più rapidamente. Il Boeing 747 della B.A. atterrò all’aeroporto internazionale di Atene tre ore e mezza dopo. Il chiacchiericcio incessante di due donne sedute accanto a me sull’aereo mi aveva impedito di dormire. I loro accenti scozzesi o jordy mi fecero odiare gli accenti dei nordisti inglesi per i decenni successivi. Ero sfinito. L’aeroporto di Atene è molto diverso da Gatwick, è più piccolo di quello di Pisa e di notte, molto più tranquillo. Erano le 5.30, avevo visto le luci di Atene alla luce delle stelle e della città che pareva diffondersi come un fungo infestante in tutta l’Attica. Mi colpì il fatto che i lampioni viola che i greci usano al posto del nostro giallo, aumentassero la sensazione di esotismo che stavo iniziando a provare con la consapevolezza che ora ero in Grecia. Gli aeroporti sono tutti uguali, forse, le persone sedute al bar appartenevano a quella indefinibile umanità con la quale ci mischiamo in qualsiasi aeroporto. Questi sembravano tutti greci però, il loro parlare suonava come veneziano al mio orecchio. Ho dovetti attendere a lungo prima di suonare il campanello al n° 31 di Lycabettus Street, non potevo presumere che Christopher Tower si alzasse prima dell’alba. |