Note: In un racconto di poche pagine si racchiude un mondo, neanche una frase risulta inutile, sprecata, tanto meno irrilevante. Mezza pagina per descrivere l’infanzia dell’eroe, poche parole per il momento dell’amore, un mutamento improvviso coincide con la descrizione di un paesaggio investito da grandine, tuoni, tempesta, mentre la felicità ha bisogno di circondarsi di parole dolci, paesaggi sereni, brezze primaverili, alberi in fiore. Il tutto condito da morti e matrimoni. La morte a volte serve a rimpiangere la conclusione di esistenze protette e gradevoli, ma serve anche per troncare la vita di personaggi cupi, disgraziati, malvagi, e viene accolta come una liberazione. I matrimoni servono come pretesto per vivere felici e contenti, o al contrario, tristi e pentiti. Leggere una frase in un racconto, coincide con il comprenderla, non c’è nulla che precede l’inizio e nulla che avviene dopo la parola fine. In poche righe si risolve il drammatico conflitto tra bene e male, tra eroi e codardi, tra fanciulle buone ma sfortunate e streghe cattive. Nessun personaggio è malvagio a lungo, e neanche particolarmente virtuoso, non c’è nemmeno bisogno di premi o castighi per concludere con una morale edificante. In una storia corta vi è la libertà di interpretare lo scatto di una foto. Per imbastire un racconto lo scrittore non ha bisogno di un filo d’oro su una stoffa di seta, luccicante di colori speciali, gli è sufficiente una stoffa semplice e un filo resistente. Un titolo a lettere grandi su una copertina, poche pagine bianche cosparse di segni neri. Un racconto ben fatto è un processo semplice ma carico di magia che, come ogni magia, a volte si ribella e non riesce ma, quando va a buon fine, stabilisce tra scrittore e lettore una trattativa riservata: il primo traccia sulla pagina i segni neri e vi trasferisce pensieri e sentimenti, il secondo li legge e li comprende, e trova un po’ di se stesso in quei segni neri. Tutto qua. |