Note: È attraverso il nonsense della follia che avviene la donazione di senso: nel suo teatro, nella sua poesia, Shakespeare ci insegna questa verità. È dopo la traversata del vuoto della landa insieme al fool, che Lear approda alla ripeness di uno sguardo che accoglie la realtà. Nella grammatica della corte il fool è il fonema zero: un segno che può essere un valore qualunque, precisamente come il jolly nel gioco delle carte. Il jolly, ovvero la carta vuota. La carta positionless dei Tarocchi, che è talvolta l’ultima, talvolta la prima, e talvolta fuori della serie. È comunque sempre grazie all’imprevedibilità di questa carta non saputa, non conosciuta, non ancorata a un valore fisso, che si dà la nuova combinazione. In tal modo il vuoto di senso si fa produttivo di senso: rimettendo in moto la produttività del linguaggio. Il nulla, il vuoto ci offrono così la verità metafisica di un centro che è un niente da cui tutto viene. Di una creatura che è uno zero senza una cifra accanto, e tuttavia proprio quando si percepisce come tale, accede alla verità della condizione umana. È intorno a questo paradosso che medita Niccolò Nisivoccia nelle pagine che state per leggere: si interroga sul valore dello zero, sul senso del vuoto, sulla potenza minore del nulla che c’è, e sulla potenza maggiore del nulla che non c’è. Non stupisca: il poeta, lo scrittore, da che mondo è mondo, sono sempre stati attratti da questo movimento; come in trance subiscono il fascino di questo vortice. Anche Niccolò Nisivoccia corteggia il medesimo ciclone.
Nadia Fusini |